Che tempo fa a Pechino? Impossibile dirlo. Le giornate scorrono ammantate di una nebbiolina grigia e l’aria è la stessa che si respira in una serra. Se è nuvolo o altro lo scopri quando senti le gocce di pioggia sulla pelle, sempre che si riesca a distinguerle da quelle di sudore. L’umidità rende il paesaggio surreale e alle volte sembra respirare sott’acqua. In compenso, il clima all’interno degli impianti è condizionato all’inverosimile. Al punto che ti chiedi che motivo c’è di combattere l’afa estiva ricreando temperature polari. Ma la Cina è così, un luogo di eccessi. La metropolitana, per esempio, è efficiente e collega i punti nevralgici della città . Peccato che da una fermata all’altra hai quasi il tempo di leggerti il capitolo di un libro. Le distanze sono abnormi. La direttrice principale della capitale misura 50 km, da capo a capo. Mettici poi il passaggio della fiaccola, il traffico in tilt e tanti saluti ai tuoi appuntamenti. Le mezzore da fermi in taxi sono utili, però, per studiare usanze e costumi locali. Gli autisti si armano di pazienza e scendono dall’auto per fumarsi una sigaretta all’aria aperta (si fa per dire). Nella stazione di servizio una gruppo di cinque benzinai, in completo azzurro e cappellino della compagnia petrolifera, perfettamente allineati sugli attenti, ascoltano le disposizioni del responsabile della pompa. Qualche macchina porta sul cofano anteriore la bandierina nazionale, oppure quella con i cerchi olimpici. Le velocità, quando si può viaggiare, rimangono sotto i settanta e i cambi di direzione non vengono mai segnalati. Ne esce fuori un valzer di scorrettezze che, solo per l’andatura contenuta, non provocano incidenti a catena. I poliziotti, con una divisa coloniale perfettamente indossata, svettano tronfi di fronte alle istituzioni e all’area olimpica e purtroppo, prima di entrare in hotel o negli impianti di gara, è necessario passare sotto i metal-detector. Controlli anche alle macchine, con posti di blocco nelle aree più sensibili. Per fortuna Casa Italia sorge al fianco di una caserma, dove non mancano curiose esercitazioni, e nella piazzetta antistante si erge il modellino in scala di un missile spaziale. In caso di attacco, possiamo resistere. Ma venti da queste parti non ne soffiano, figurati di guerra, e di militari nel centro urbano se ne incontrano meno che in Italia. Per questo l’impressione, vedendo l’impegno che ci mettono i Cinesi, è che il pregiudizio socio-politico prevarrà, comunque, su un sereno giudizio organizzativo. Potranno essere Giochi da record, ricchi di servizi, curati nei minimi particolari, ma il quadro sarà sempre meno importante della cornice. Intanto la popolazione non lesina sorrisi. Dappertutto si distinguono i colori di Pechino 2008 e la scritta “ONE WORLD, ONE DREAM”, motto della XXIX Olimpiade. Il taxi, nel frattempo, è arrivato a destinazione. Costo della corsa trentacinque Yuan, l’equivalente di tre euro e mezzo. Roba da non credere. E in giro ci sono più automobili gialle che privati, almeno i questi giorni di grandi arrivi. Si chiamano con un fischio alla Audrey Hepburn, rigorosamente al volo, senza numeri di telefono o frasi del tipo, “mi chiami un taxi”. Nessun conducente conosce l’inglese e in verità neppure tutte le strade. Obbligatorio farsi scrivere l’indirizzo in mandarino, la lingua ufficiale a Beijing. Tanta buona volontà, insomma, anche se la quantità inevitabilmente prevale sulla qualità. Con quasi 18 milioni di abitanti non è stato difficile reclutare volontari. Ce ne sono ad ogni angolo. Il più delle volte sono ragazzi, pronti a correrti in soccorso non appena incroci lo sguardo. Somigliano, però, ai benzinai di prima: disciplinati, inquadrati, disponibili, in una parola efficienti, ma forse poco efficaci.