Le paure della vigilia si sono improvvisamente materializzate ed hanno gli occhi a mandorla. La classifica della prima giornata di qualificazione di Ginnastica Ritmica recita: Bielorussia 17.525, Cina 17.300, Italia 17.150, Russia 17.000, Bulgaria 16.825. Presa baracca e burattini ci siamo spostati dal National Indor Stadium, collocato nel cuore dell’Olimpic Green, al Beijing University of Technology Gymnasium, dall’altra parte della città. Cambia scenario, dunque. Rispetto al podio di artistica ci sono le 5 funi del concorso a squadre di ritmica ma il light motiv è sempre lo stesso: cinesi portati sul palmo dalle giurie. Non che abbiano demeritato, ciò che impressiona, da un lato, è vedere le ginnaste di casa così in alto, quando per quattro anni non hanno mai neppure sfiorato il podio (fuorché, guarda caso, nelle pre-olimpiche di dicembre, qui a Pechino), dall’altro è vederle più in alto delle azzurre, che possiedono un esercizio con le corde di gran lunga più complesso. “Il loro è un programma pulito ma elementare e poi mi stupisce il punteggio dell’artistico – dichiara la Maccarani con l’espressione di quella che dice: ve lo avevo detto! – Come si fa a prendere 9.100 con tanti falli di statismo. Le cinesi, più di una volta, si sono letteralmente fermate e quelle sono penalità non viste. Noi abbiamo commesso due piccole imprecisioni, pagate nella difficoltà (8.500), quindi, tranquilli! possiamo fare meglio di così. Ora lasciatemi elogiare le ragazze. Non è mai facile aprire le gare, figuriamoci un’Olimpiade. I lanci sono stati ampi, le traiettorie perfette, senza falli gravi, cosa posso rimproverare loro? La valutazione sulla nostra prestazione è corretta, direi coerente. E’ la Cina che ha preso troppo. Un'altra assurdità – continua l’allenatrice italiana – è il 17.000 della Russia. Mi volete dire che senza lo 0.20 di penalità per l’attrezzo fuori pedana ci sarebbero state davanti? Ma se non erano neppure insieme: ad un certo punto una di loro è andata per fatti suoi, totalmente in confusione”. In effetti più di una russa, uscendo di pedana, aveva il viso rigato di lacrime. E non era per l’emozione di gareggiare in un impianto olimpico, tra l’altro pezzato di settori vuoti. Erano in tanti, invece, i sostenitori delle nostre farfalle, agghindati con il tricolore, rumorosi e festanti, non tanto numerosi come avrebbero voluto. Chi sa quanti, rimasti a casa senza biglietto (la ritmica dall’Italia è stata sempre sold out) si saranno rammaricati nel vedere gli spalti gremiti a macchia di leopardo? Sicuramente il colpo d’occhio degli ultimi Europei di Torino era un’altra cosa. D’accordo, pioveva sulla capitale asiatica e l’impianto è terribilmente distante dal resto della fiera, però il BOCOG, il Comitato Organizzatore, avrebbe fatto meglio a cedere i ticket ai Paesi realmente interessati, piuttosto che vederli a chi oggi non c’è venuto. “Siamo contente – dice la D’Ottavio a nome delle compagne – abbiamo rotto il ghiaccio. Anche se abbiamo più esperienza del 2004 non è mai facile, psicologicamente, entrare in una pedana così importante per prime. L’emozione era la stessa di Atene, però con una maggiore consapevolezza. Allora ci buttammo con incoscienza, ora sentiamo la responsabilità di un ruolo internazionale riconosciuto e costruito sui successi di questi ultimi anni. E’ differente anche la vita nel villaggio olimpico. Ce la stiamo godendo molto di più. Mi ricordo bene il rientro in Italia. Quattro anni fa Chieti mi accolse come un’eroina. Spero accada ancora, pur avendo poco tempo però. Passo per casa un paio di giorni, poi si riparte tutte insieme per Ibiza. La Cina? Domani le facciamo nere”.