La musica è una componente fondamentale della Ginnastica ritmica. Accompagna l’atleta in pedana ed è attrice non protagonista della sua performance. Considerata la spettacolarità di questa disciplina, la scelta della musica è essenziale, se non nel giudizio complessivo, certamente per accattivarsi il favore del pubblico. L’accompagnamento a tempo con il battito delle mani, quando il ritmo lo consente, di un solo settore o dell’intero palazzetto inconsciamente può condizionare la valutazione finale della Giuria, che non è, come è umano che sia, del tutto impermeabile al gradimento degli spettatori sugli spalti. Dal punto di vista tecnico la musica è una componente del punteggio dell’Artistico, la risultanza di due distinti fattori: 1) l’aderenza ritmica del brano alla composizione coreografica, che, in teoria, dovrebbe essere cucita, come un vestito su misura, ad ogni singola nota; 2) il carattere dell’interpretazione. In altri termini la ginnasta deve esprimere in pedana ciò che il suono suggerisce dal punto di vista melodico. Con un pezzo lento ci si aspetta una esecuzione intensa, con uno più brioso, dinamismo e veemenza. I due aspetti legati insieme determinano la sincronizzazione di musica e movimenti, esattamente ciò che risulta più evidente alla gente comune, che non è tenuta a conoscere tutti gli altri elementi del Codice dei Punteggi. Ebbene ai XXIX Campionati del Mondo ne stiamo sentendo di tutti i colori. Con 137 ginnaste, più della metà impegnate i tutti e quattro attrezzi, per una media di 120 esibizioni al giorno, la cupola del Sun Arena rimbomba senza sosta come un gioioso carillon nella tranquilla prefettura di Miè. In un paese dove le canzoni popolari risalgono ad una antichissima tradizione, ma che, al tempo stesso, nei primi anni settanta, ha inventato il Karaoke (l’ideatore è un musicista giapponese di nome Daisuke Inoue) il gusto musicale si è evoluto fino a creare, oggi, un sorta di bubblegum pop, composto da canzoni con un miscuglio di testi in giapponese e di ritornelli in un inglese incomprensibile. Il compositore di canzoni John Clewley ha descritto la produzione musicale nipponica come un coacervo di generi che spazia dal buddismo antico salmodiato dei vecchi stili urbani agli stili popolari del kayokyokue e dell'enka, dalla musica classica occidentale al jazz e ad ogni forma di musica pop occidentale. Con un orecchio così contaminato per le ginnaste in gara non è difficile strappare applausi alle tribune, qualunque sia la propria colonna sonora. Classica, moderna, disco, popolare, etnica, un coacervo di proposte, l’una dopo l’altra, senza soluzione di continuità. Non c’è dubbio che per i palati più fini sia una piacevole sorpresa scoprire, di tanto in tanto, qualche elemento di maggiore originalità. E’ stato il caso della sudafricana Sibongile Mjekula, una splendida ragazza di colore, che, vestita da Papagena, ha svolto il suo programma, non benissimo a dire il vero, su uno straordinario mix di “Satisfaction” dei Rolling Stones e il “Flauto Magico” di Wolfgang Amadeus Mozart. Solo l’intuizione di accostare in 90 secondi il compositore di Salisburgo, genio e sregolatezza del ‘700, a Mick Jagger, simbolo del rock dissoluto dei nostri anni ’70, avrebbe meritato un punto in più. Qualche altro sussulto c’è l’ha provocato il tango “Por una Cabeza”, composto nel 1935 da Carlos Gardel e Alfredo Le Pera ma reso celebre da Al Pacino in Scent of a Woman. Oppure l’italianissima “Caruso” di Lucio Dalla. E’ stato quasi impossibile non canticchiarci sopra, d’altronde anche qui il mare luccica e tira forte il vento su una vecchia terrazza davanti al golfo di…Nagoya. Dal “Padrino” di Nino Rota, seppur nella versione creata dal violinista Edvin Marton per Evgeni Plushenko alle Olimpiadi di Torino, si passa a “Summertime”, l’aria composta da George Gershwin per l'opera Porgy and Bess del 1935. Molto intrigante la palla di Alina Maksimenko montata su un campionamento elettronico modulato con fasi alternate di inspirazione ed espirazione, che conferivano alla routine eros e pathos. Per il nastro, invece, l’ucraina ha preferito il più comune “Tango de Roxanne”. Bello, si, ma niente a che vedere con i “Carmina Burana” con i quali Anna Bessonova graffia la pedana come una tigre in gabbia. Emozionanti, benché più languide, la variante di Vivaldi (Le quattro stagioni) e la mistica Ave Maria di Gounod, accostata alla palla dall’armena Naira Minasyan. La scelta più ruffiana, comunque, l’hanno fatta le atlete che hanno optato per i cavalli di battaglia nazionali, come l’austriaca Carolina Weber, “Sul Bel Danubio Blu” insieme a Johann Strass. Un’idea mica poi tanto male, se consideriamo, per esempio, l’impatto che ebbe il “Nessun Dorma” pucciniano nel trionfo di Vanessa Ferrari ad Aarhus, nel 2006. Con una patria canterina come la nostra, piena di bravi indimenticabili, autori amati e conosciuti in ogni latitudine e tempo, non sarebbe difficile trovare qualcosa di più patriottico e trascinante, per conquistare i tifosi stranieri, strizzando l’occhio alla Giuria A.