Lì dove tutto era iniziato, ad Anversa nel 2013, ora, dieci anni dopo, è ricominciato. Ho forse non è mai finito e mai vorremmo che finisse. Simone Biles is back! La più grande ginnasta di tutti i tempi, ieri, si è presa sulle spalle una nazionale work in progress e un po’ come Maradona ai Mondiali in Messico ha dribblato da sola tutte le avversarie, regalando al team USA il settimo titolo consecutivo. Il suo bottino personale è salito a ventisei podi iridati, di cui venti ori, tre argenti e tre bronzi. Basta pensare che la prima delle inseguitrici in questa speciale classifica all time è la russa Svetlana Khorkina, ferma, si fa per dire, a quota venti medaglie, di cui nove del metallo più pregiato. Leanne Wong, Skye Blakely, Shilese Jones, Joscelyn Roberson sono ottime ginnaste, ma accanto alla Gioconda dell’artistica tutto appare meno nitido. Ed Anversa, sede dell’edizione inaugurale della rassegna iridata, nel 1903, sembra essere il palcoscenico del destino. Due lustri fa, all’inizio del quadriennio che avrebbe portato il fenomeno texano alla consacrazione di Rio de Janeiro, all’Antwerp Sportpaleis, appena restaurato, c’erano anche la canadese Ellie Black, la polacca Marta Pihan-Kulesza, la tedesca Pauline Schaefer-Betz e l’olandese Sanne Wevers: le uniche testimoni oculari presenti anche nell’edizione del 2023. Nella città della stampa, sede del museo Plantin-Moretus, patrimonio dell’UNESCO con la sua eccezionale collezione di materiale tipografico, Simone ha riscritto il Codice dei Punteggi, con lo Yurchenko con doppio carpiato indietro, e poi la storia della disciplina con una finale da 58.732 punti personali (VO 14.800 – PA 14.466 – TR 14.300 – CL 15.166), leggermente al di sotto del 58.865 ottenuto in qualifica.

Di fronte ad una tale meraviglia c’erano due giovani esordienti azzurre, che la Biles l’hanno vista dal vivo per la prima volta. E se Angela Andreoli è una debuttante per modo di dire, visto che ha già all’attivo tre medaglie europee, tra le quali l’oro a squadre a Monaco di Baviera, nel 2022, Arianna Belardelli può stropicciarsi gli occhi. La sedicenne dell’Heaven, classe 2007, non era nata quando Vanessa Ferrari vinceva l’all around, ad Aarhus, in Danimarca e quando la bresciana finì alle spalle della Biles al corpo libero di Anversa, lei andava in prima elementare, a Roma. Oggi calca quella stessa pedana, e lo fa con il piglio della veterana. Arianna “la rookie” trova subito il filo del discorso e sembra esserci sempre stata. Al corpo libero e sulla rincorsa dei 25 metri mostra un carattere da vendere, con i suoi occhi di ghiaccio e un cuore caldo quando esegue i due avvitamenti al volteggio o le parti artistiche al ritmo di “Fate of the Clockmaker” di Eternal Eclipse, sul quadrato centrale. “Esordire in un mondiale qualificante è stato bellissimo, super emozionante – ci ha detto in zona mista – Non mi aspettavo questo risultato, sono davvero contenta. Ringrazio tutte le mie compagne per l’aiuto e il supporto che mi hanno dato. Mi sono divertita tanto”. A casa sono rimasti nomi altisonanti, ginnaste di livello olimpico, ma le ragazze venute qui in Belgio per staccare il biglietto per Parigi, non le hanno fatte rimpiangere. “Mandiamo un grande bacio ad Asia, Giorgia e Martina, che ci tifavano davanti alla tv – conferma Alice D’Amato, vicecampionessa d’Europa a squadre e regina continentale alle parallele asimmetriche - Loro erano qui con noi anche se lontane”.

Ma sono state tutte brave le nostre ragazze. Alice ha emozionato il pubblico fiammingo al ritmo travolgente di Stanga” di Sagi Abitul & Guy Haliva. Manila Esposito, classe 2006, in due anni ha fatto un salto nell’iperspazio diventando una colonna di questo gruppo. Elisa Iorio, l’apripista alla trave è tornata dove ci aveva deliziato, nel 2019, con quell’esercizio decisivo che garantì il pass per Tokyo. Nelle Fiandre, il capitano di Modena, apre con un 13.500 che sembra spalancare la strada ad una nuova magia. In panchina, con i tecnici Enrico Casella, Monica Bergamelli e Marco Campodonico c’è Veronica Mandriota, calatasi diligentemente nel ruolo di riserva dopo aver contribuito al quinto posto dell’Italdonne a Liverpool. Le stelle dell’Accademia di Brescia sono diventate un sistema solare all’interno di una galassia più ampia, dove ruotavano altri corpi celesti: Jessica Gadirova cadeva al volteggio mentre Marine Boyer disegnava le sue traiettorie spaziali al corpo libero; anche l’olimpionica Sanne Wevers e la giapponese Shoko Miyata brillavano ad intermittenza. Accecanti invece Flavia Saraiva e Zhou Yaqin, quest’ultima con una trave divina da 14.533. Scivolosa al contrario l’esperienza di Leanne Wong, disperatamente aggrappata all’attrezzo. Dopo sbaglia pure Georgia-Mae Fenton e la Gran Bretagna intuisce di aver imbroccato una giornata storta. L’opposto delle francesi che con Lorette Charpy sugli staggi cominciano a crederci. Rebeca Andrade, intanto, incanta. E mentre la Biles fa una gara a sé, che pare un altro sport, si delinea il podio, al fotofinish. Non c’è l’Italdonne, per un caso, il capitombolo della migliore. La rivincita è a portata di mano, la stessa che sta nel nome di Anversa. “Hand werpen cioè «lanciare la mano», viene dalla leggenda del soldato romano, Silvio Brabone, che sconfisse il gigante Druon Antigoon, sulle rive dello Schelda e ne gettò, appunto, la mano nel fiume. Nel 2019 le azzurre conquistarono il bronzo ai mondiali qualificanti e nel 2021 presero il legno ai Giochi Olimpici. Chissà, stavolta potrebbe accadere il contrario e le fate batteranno i giganti dove conta di più.