Un "10 perfetto" per entrare nella leggenda e per portare la ginnastica in una nuova dimensione. In quel 1976, alle Olimpiadi di Montreal, il mondo non era pronto per Nadia Comaneci. Quattordici anni appena, i capelli raccolti in una coda di cavallo e la pettorina numero 73, lo stemma della Romania bene in evidenza. E poi via, verso le parallele asimmetriche per lasciare tutti increduli. Giudici compresi, tanto da dover improvvisare la votazione di 1,00 poiché il 10 non era neppure contemplato nei computer dell'epoca. Eppure, per la piccola Nadia era già routine. Prima dei Giochi fu protagonista nell'American Cup al Madison Square Garden di New York, dove sbaragliò la concorrenza all'insegna della sua inconfondibile perfezione. Sorrideva Nadia, con quel trofeo grande quasi quanto lei, così piccola accanto a Bart Conner che venti anni dopo, nel 1996, diventerà suo marito e continua ad essere al suo fianco ancora oggi con una Comaneci che festeggia il traguardo dei 60 anni al termine di un'epopea sportiva e personale senza precedenti. Una settimana magica se si pensa che il 10 novembre, un’altra stella dei grandi attrezzi femminili, l’azzurra Vanessa Ferrari, ha compiuto trentun anni, a cento giorni esatti dalla conquista del suo agognato e mai tanto meritato argento olimpico al corpo libero di Tokyo. La barriera del "10 perfetto" abbattuta alle parallele a Montreal – la città dove Vanny si infortunò gravemente nel 2017, rischiando di dover rinunciare per sempre ai suoi sogni a cinque cerchi - fu scavalcata dalla Comaneci per altre sei volte, per una pioggia di medaglie (tre ori, un argento e un bronzo) che non poteva lasciare indifferenti. Il mondo, una volta di più, non era pronto per Nadia. La sua Romania non si lasciò sfuggire l'occasione per elevarla a manifesto del regime comunista: ben presto, il 'conducator' Nicolae Ceausescu iniziò a usarla come simbolo di propaganda, invitandola a palazzo mentre il resto della popolazione faceva fronte a razionamenti di cibo. Un capitolo doloroso nella vita di una Comaneci ancora bambina e che in pochi volevano veder crescere per non comprometterne le prestazioni: la proverbiale durezza degli allenamenti con Bela e Marta Karolyi, peraltro descritti dalla stessa Nadia come la ricetta per raggiungere il successo, ha spesso dovuto fare i conti con le speculazioni su cure a base di ormoni per impedire lo sviluppo. Dopo aver incantato anche a Mosca 1980 (due ori e due argenti), la Comaneci arrivò addirittura a tentare il suicidio, devastata dalle limitazioni dovute al controllo del regime. Ma in una notte di novembre del 1989 trovò finalmente il coraggio per cambiare nazione, prospettive, vita: nelle sue sei ore di cammino da Bucarest verso il confine ungherese vi è racchiuso tutto il microcosmo della piccola Nadia diventata donna, pienamente artefice del proprio destino. Al suo arrivo negli Stati Uniti, dove chiese asilo politico, ritrovò Bart Conner, conobbe il vero amore e riscoprì quello per la ginnastica. Mentre il muro di Berlino veniva distrutto, la Comaneci si risollevò in America dalle proprie macerie. Oggi si divide tra l'Accademia fondata col marito e gli impegni umanitari, senza dimenticare quelli istituzionali per quel legame indissolubile con la famiglia olimpica.

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