Tanti auguri Alberto. Oggi compie gli anni uno dei pilastri storici della Nazionale maschile di Ginnastica Artistica. Alberto Busnari, nato a Melzo il 4 ottobre del 1978, non potrà spegnere le candeline con i suoi cari, perché impegnato a Tokyo, nella 43ª edizione dei Campionati del Mondo. “Ma mi rifarò quando torno – precisa Abe, come lo chiamano affettuosamente nell’ambiente ginnico – Certo non è neanche male festeggiare ad un Mondiale, dall’altra parte del mondo, con tanti amici intorno. Allo Yoyogi National Stadium, la nostra palestra di allenamento, ho ricevuto gli auguri dei miei compagni e di qualche straniero. Questa è un po’ come una seconda famiglia, dopo tanti anni, tante competizioni”. Ebbene si, perché Alberto di primavere ne conta già 33 e la polvere di magnesia la respira da quando ne aveva 5. Tempus fugit, dicevano gli antichi, ma i ricordi restano e in questa data speciale si accavallano in un mix di emozioni. Cresciuto nella Juventus Nova con l’attuale DTN Fulvio Vailati, Busnari può vantare un curriculum sportivo di livello assoluto. Intanto quella che si appresta a disputare è la sua ottava rassegna iridata. Ma sono le tre Olimpiadi alle spalle a fare impressione: “Diciamo che vado per la quarta – aggiunge, mettendo da parte l’abituale scaramanzia – Sarebbe un primato, perché, se non erro, dal dopoguerra nessun ginnasta italiano c’è mai riuscito (Chechi e Menichelli, tanto per fare nomi celebri, causa infortuni, si sono fermati a tre, così come Igor Cassina, ndr.). E a livello internazionali mi batterebbero in pochi (per il bulgaro Jovtchev Londra sarebbe la 5ª, ndr.)”. Dica trentatre, caro Alberto. Sembrano tanti, soprattutto per un ginnasta, ma di sicuro lei, con la tartaruga al posto della pancia e neppure un capello bianco in testa, non li dimostra affatto. “Non scherziamo – puntualizza – a 34 anni Jury vinse il bronzo ad Atene e Cassina a 32 è salito sul gradino più basso del podio mondiale, nel 2009. La passione è l’unico volano che ci spinge a continuare, non c’è fama o soldi che tengano. L’importante ad una certa età è imparare a gestirsi, ad amministrare il proprio fisico. E devo dire che i miei allenatori con il sottoscritto hanno fatto un ottimo lavoro”. Γνῶθι σαυτόν, conosci te stesso, era scritto sul tempio dell’Oracolo di Delfi. Motto preso alla lettera dall’aviere capo dell’Aeronautica Militare. Al quale chiediamo adesso di guardare indietro e di raccontarci le sue tre, ci piace dire, precedenti (e che sia di buon auspicio!) partecipazioni a cinque cerchi. “Sydney è stata la più bella – parte a razzo – la prima, la più cercata. Nel ’96 mi ero trasferito a Milano, avevo lasciato casa con un sogno nel cassetto. Centrarlo così, d’amblè, mi ha dato la sensazione concreta che i sacrifici alla fine venissero ripagati. Pur cavandomela in tutti gli attrezzi, avevo una buona sbarra e con il vecchio codice, che allora premiava la pulizia dell’esecuzione, me la giocavo pure con Igor. La squadra a Tianjin non si qualificò e così andammo soltanto noi due. Atene fu una delusione enorme. Arrivavo da un ottimo quadriennio, durante il quale mi ero specializzato nel cavallo con maniglie, centrando subito la finale ai Campionati del Mondo di Gand, nel 2001. Avevo vinto due medaglie europee, il bronzo a Debrecen e l’argento a Lubiana, frequentavo stabilmente il podio delle World Cup, era normale che avessi aspettative personali. Era stato bello qualificarsi con la squadra ad Anaheim nel 2003, condividere con i tuoi compagni un’avventura olimpica, ma non mi bastava, volevo, anzi potevo giocarmi una medaglia. E invece, per strani equilibrismi delle giurie sono rimasto a guardare”. Tanta fu la delusione che l’anno seguente Abe voleva smettere, poi si fece male all’adduttore della gamba e per assurdo ebbe il tempo di pensarci su. “A bocce ferme mi sono detto: se vuoi andare avanti lo devi fare con serenità. E così ho cambiato il modo di vedere le cose. Forse sono maturato, ho ritrovato il filo della matassa che mi ha portato fin qui, dall’altra parte del pianeta, ad inseguire ancora l’Olimpiade. Pechino per me è stata una gioia e basta. Sapevo di non dover dimostrare più niente e cominciai a divertirmi. Con la squadra a Stoccarda avevamo fatto i fenomeni. Decimo posto e di nuovo qualificati, tutti insieme. Partii per la Cina sapendo di non aver più quel livello tecnico al cavallo per competere con i migliori. Mi accontentai di chiudere seconda riserva e di aver fatto una bella figura”. Ora però il vento è di nuovo girato. Busnari nel 2009 inserisce dei passaggi alla verticale, salite con discese in Thomas che non aveva mai eseguito nessuno. Il suo valore di partenza schizza alle stelle e torna ad essere competitivo. “Forse un giorno, quando aggiorneranno il Codice, potrebbero dare il mio nome a quell’elemento. Sarebbe bello, dopo il Cassina alla sbarra e il Morandi al corpo libero, il Busnari al cavallo con maniglie. Dopo aver buttato via la medaglia agli Europei di Birmingham e soprattutto a quelli di Berlino, mi farebbe piacere provarci ancora qui a Tokyo, a dieci anni esatti dall’exploit di Gand. Beninteso, dobbiamo piazzarci bene con la squadra, anche per dare una buona impressione nell’eventualità (molto probabile ad essere onesti, anche se a Rotterdam l’Italia fece discretamente, ndr.) di andare al Test Event di gennaio. Nel frattempo, visto che una cosa non esclude l’altra, mi piacerebbe togliermi qualche soddisfazione individuale. Dopo l’errore clamoroso dello scorso aprile in Germania ho sostituito i due russi (valore C) con il Roth (valore D), guadagnando un decimo nella nota di partenza. Adesso il mio programma vale 16.80. Soltanto l’inglese Louis Smith parte da 17.00, tutti gli altri, compreso il campione in carica, l’ungherese Berki, hanno una nota da 16.70”. E allora, vecchio Busna, fagliela vedere a questi ragazzini!