Avevamo imparato che non bisogna mai chiedere a un reality di essere «vero». Poi però è arrivato l'esperimento di «Ginnaste - Vite parallele» (Mtv, venerdì, ore 21), che racconta la quotidianità di sette giovani atlete del Centro tecnico federale di ginnastica artistica di Milano, gli allenamenti massacranti e la tensione delle gare, la normalità della scuola e del tempo libero di un gruppo di adolescenti iperconnesse, tra smartphone e computer portatili sempre accesi come una sorta di basso continuo.

 

Le ragazze si preparano per i Mondiali di Tokio, ma sullo sfondo c'è il traguardo della vita, quello delle Olimpiadi di Londra 2012. Bisogna subito dire che queste atlete sono quanto di più distante dall'immagine dei «bamboccioni»: dai 14 anni vivono lontane da casa, gestiscono da sole gli aspetti pratici della loro vita e spesso si trovano ad affrontare sconfitte e infortuni anche dolorosi.

 

Le giornate delle ginnaste sono un miscuglio di sentimenti portati alle estreme conseguenze: competizione, solidarietà, amicizia, ambizione, senso di sconfitta e quando va bene vittoria. Le ragazze sono combattenti, impegnate nella duplice sfida di sopravvivere all'adolescenza e affermarsi come sportive. La difficoltà è anche quella dei loro allenatori, il cui compito si gioca sul filo sottile del motivare senza mai mortificare. «Ginnaste» ci permette di sbirciare in un mondo che vive su un sistema di regole e codici proprio, in cui esiste un repertorio di frasi vietate, prima di tutte «Non ce la faccio». Grazie a una certa asciuttezza nel racconto della voce narrante, al giusto dosaggio del commento musicale e a un montaggio poco ruffiano, il docu-reality riesce nell'impresa più difficile, quella di non cedere alla retorica. Non era facile, ma forse «Ginnaste» ha trovato una via nuova al racconto dello sport in tv.




Aldo Grasso (Corriere della Sera)

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http://www.corriere.it/spettacoli/11_novembre_20/grasso_9a2a0f02-134d-11e1-8f9c-85bd5d41d537.shtml