Le Olimpiadi hanno il potere di ampliare in modo drammatico la nostra idea di cosa sia lo sport inteso come universo parallelo (un po’ come quello degli ammalati), come mondo a sé stante. Scopriamo che, dietro le imprese dei soliti eroi - i vari Messi, Federer o Alonso - esiste una grande quantità di persone capaci di sviluppare abilità eccezionali che non frutteranno però gloria e denaro e saranno destinate a finire, Olimpiadi a parte, sotto gli occhi di pochi. Guardandoli siamo portati a correggere l'idea che, in cima a tutta questa piramide fatta di ingegno, fatica e sacrificio, esista solo il dio denaro. Cosa spinge una ragazzina a dedicarsi al nuoto sincronizzato o alla ginnastica ritmica? Cosa spinge queste ragazze al mascheramento - perché tutte queste discipline sono anche teatro, dove sentiamo l'eco nitida di riti e sacrifici antichi – e all'assunzione di identità provvisorie? Ci aspetteremmo che lo sport mettesse l'uomo a nudo, ma non è cosi: il suo rito è molto più antico rispetto al nostro mondo, Bolt e Blake hanno la stessa età di Ulisse e Aiace. Ammiro le gesta della nostra squadra di ginnastica ritmica. La loro abilità sbalorditiva non costa una sola giornata di Mario Balotelli. Ammiro i loro volti dipinti secondo un rituale preistorico, che cancella l'individualità fino a lasciarne lo scheletro: un naso un po' più lungo, due ginocchia più spigolose, un sorriso più splendente. Una di queste ragazze, forse la più brutterella (perciò niente nomi) alla fine dell'esercizio si guarda intorno stranita, e non sembra capire quanto straordinario sia ciò che ha appena fatto. È lei la colomba, la giumenta, Ifigenia. Il suo stupore parla a nome di tutti quelli che hanno vinto ma anche a nome degli sconfitti, degli infortunati, dei confusi e di tutti coloro che per primi saranno rigettati nella vita di tutti i giorni, a misurarsi con un altro eroismo. Ai vincitori è riservato, infondo, soltanto un altro giro di giostra.


Luca Doninelli da Il Giornale