Il Grande Vecchio della ginnastica azzurra ha spiccato il suo ultimo salto. Savino Guglielmetti, classe 1911, fino alla fine ha continuato a seguire con spirito curioso e vivace quello sport che più di ogni altra cosa ha riempito la sua lunga e piena esistenza. Nel 2003 dopo che se ne fu andato il suo amico Leon Stukelj, Savino ne raccolse l’eredità un po’ scomoda di “più vecchio” tra gli olimpionici. Ma a lui non pareva pesare più di tanto. Continuava anzi a partecipare ogni volta che poteva alla vita della Federazione intervenendo, sempre da protagonista, in ogni forma di dibattito e evento.
La sua casa prediletta è sempre stata la Pro Patria 1883, Società in cui ha ricoperto fino all’ultimo la carica di vicepresidente. Nessuno, neanche i più piccini, tra quelle mura cosi ricche di storie e di vita, ignorava chi fosse quel signore incanutito ma dritto come un fuso che passava buona parte delle sue giornate girando tra i corridoi e le palestre.
Solo un imprevisto aveva impedito che fosse presente alle Olimpiadi di Atene lo scorso anno, esattamente sessantadue anni dopo quelle di Los Angeles, per assistere ai trionfi della ginnastica azzurra.
I suoi ricordi, una volta stimolati, si libravano lievemente sui Miti assoluti di questo sport, dai compagni di squadra Romeo Neri e Omero Bonoli ad Alberto Braglia. Al suo allenatore, un altro grande della Ginnastica, Mario Corrias, che nel corso del lungo trasferimento da New York alla California, ad ogni sosta del treno li faceva scendere per una corsa a perdifiato attorno ai vagoni “per mantenere la forma”. E i più giovani ascoltavano rapiti quel Mar delle Storie dalla fonte stessa di tanta meraviglia.
Nel 1998 attraversò di nuovo l’oceano per entrare in modo imperituro nella Hall of Fame di Okhlaoma City e ricevere quella che il grande campione giapponese Frank Endo aveva definito il Premio Nobel della ginnastica.
Nel 1948 e a 36 anni, partecipò alla sua ultima puntata olimpica da atleta, rispondendo così all’appello di un paese che aveva una gran voglia di ricominciare a fare ginnastica, dopo la parentesi della guerra.
Nel corso di una vita così lunga Savino si è trovato spesso a dover ricominciare in quanto non sempre gli altri, le persone che si amano, riescono a stare al passo. L’esperienza gli aveva insegnato come farlo senza drammi, con grande dignità. E umiltà. “Sono entrato in Federazione quando in realtà sarei dovuto uscirne” ripeteva spesso riferendosi ai suoi incarichi dirigenziali. Ma lo spettacolo che lo emozionava di più era quando riusciva a sedersi, non visto, al lato della pedana per osservare i più giovani che si allenavano.
La sua ultima uscita pubblica era stata in occasione della presentazione del nuovo sponsor federale nell’aprile scorso al fianco di Chechi e Cassina, che lo stringevano come a proteggerlo con il loro affetto, come ognuno di noi farebbe con una persona cara. Anche alla festa per l’intitolazione a suo nome della palestra di via Ovada 40, sede del Centro tecnico federale alla fine del 2002, c’erano quattro generazioni di ginnasti a festeggiarlo. Lui dopo aver preso la parola s’interruppe, emozionato. Le sue erano lacrime di candore, come quelle che si possono scorgere solo negli occhi dei vecchi e dei bambini, messaggeri di purezza.