Brucia, brucia ancora, brucia tanto. Il terzo posto e mezzo della Ferrari al corpo libero fa ancora male. La ginnasta azzurra è appena rientrata a casa. Il volo AZ 7053 delle 17.25 per Milano Linate poteva, doveva essere un carosello. E, invece, una cappa di tristezza avvolgeva il velivolo più delle nubi. L’Ultimo dei Moicani, il brano di Trevor Jones continua a risuonare lontano, mentre la terra di Albione si fa sempre più piccola. Vane è seduta al suo posto, più piccola che mai. La tiene una cintura di sicurezza, ma con la mente continua a saltare da una diagonale all’altra, pensando a come e cosa poteva far meglio. Rondata, flic e Tsukahara avvitato. Le gambe all’arrivo sono leggermente piegate, è un po’ storta ma la stoppata è altrettanto secca e rimbomba nella North Greenwich Arena un tuffo al cuore. Rondata, flic, Tsukahara e salto dietro. Mentre la 21enne bresciana lotta contro le leggi dell’età e della gravità, sono tutti inchiodati alla Tv, tutti a bocca aperta. 211.396 spettatori medi complessivi, con 415.268 spettatori unici (le batterie maschili dei 200 mt, con la vittoria di Usain Bolt ne hanno totalizzati 214.805) hanno improvvisamente ritrovato il Cannibale di Aarhus, o meglio quella piccola farfalla che la sfortuna voleva inchiodare al libro dei ricordi. Invece eccola là. Enjambee cambio con 360°, salto teso 540°, salto teso 360°, piroette 360° in passè, Enjambe cambio anello. Guardandola ti aspetti che da un momento all’altro dica: “Io sono Edmond Dantes”, pronta a servire la vendetta del Conte di Montecristo a tutti coloro che se l’erano scordata. E quelle donnine caricate a molla, che volano senza neanche bisogno di ali, mentre lei se l’è dovute ricostruire, una piuma alla volta, nelle segrete di Brescia, aspettando, aspettando, aspettando! Gogean, Strug ad anello, rondata, flic, doppio salto carpio ancora inchiodato, enjambee sul posto. L’attesa sembrava terminata, giù la maschera, questa è Vanessa Ferrari! E le altre intorno si facevano comparse. La Raisman (15.600), per carità, una meraviglia, che però si è ritrovata un dono e forse non sa neppure lei come e perché, dove, cosa e quando. Quel dono e quello stordimento che colse anche la Ferrari nel 2006, cullata sulle note del Nessun Dorma. Poi ci fu il risveglio e sono stati dolori, alle caviglie. La strada s’è fatta in salita per Vane, in piedi sui pedali, sudore, fatica, senza le scorciatoie che ci raccontano le tristi cronache di questi giorni. Ed è arrivata la seconda Olimpiade. Non la medaglia. Sarebbe stata la 30ª per la Federazione, la cifra tonda, la storia. Di più, sarebbe stata un’ altra favola (dopo quella mancata da Busnari) per la prima donna in un albo d’oro tutto al maschile, fatta eccezione per la squadra argento ad Amsterdam 1928. Tre decimi, tre maledetti decimi lasciati chissà dove in un’esecuzione ad occhio umano migliore di quella russa. Invece la Mustafina prende tre decimi in più. E ti credo, un esercizio meno difficile è anche più facile da eseguire, direbbe Lapalisse. Eppure non è così chiaro al CIO, che si incarta in cervellotici regolamenti, spazzati dalla semplicità tutta bresciana del concreto Casella: “Tre migliori di noi non ce ne sono”, la matematica non è un opinione. Opinabile invece è il criterio per sciogliere un ex aequo, al pari di quell’altra bella pensata di qualificare una squadra con sei ginnaste e di ammetterne cinque. Una pensata che ha fatto versare lacrime amare ad altre azzurre che avevano conquistato questa vetrina. Quando è uscito il 14.900 della Mustafina, lo sguardo è andato subito al 4 in classifica accanto al nome della Ferrari. Scoppia il putiferio. Il verdetto della giuria si congela fino alla facciata della Izbasa, diamante pazzo stile Pink Floyd che scatena una disperazione infinita. I giornalisti delle più importanti testate italiane si affannano a capire il perché e il per come. Fatichiamo a spiegare loro che il punteggio di 14.900 va scorporato in due parziali e che pur avendo Vane la Difficoltà più alta, paga l’Esecuzione inferiore. Non che la Mustafina abbia rubato nulla e anche a livello di sfortuna e caparbietà giù il cappello per una che si spacca il legamento crociato anteriore del ginocchio due anni prima e vince quattro medaglie olimpiche. L’Esecuzione, dicevamo. E tale è stata, sul patibolo ci sono saliti in molti. Louis Smith al cavallo con maniglie. La Ponor alla trave, tra l’altro dopo un ricorso della Raisman. 8.766 contro 8.466 e la medaglia di Catalina rotola giù da quel podio dominato ad Atene. Un altro romanzo quello della rumena, 24enne che tra un ritiro e un ritorno ha lasciato un segno, comunque degno di grande rispetto. “Non ci doveva nemmeno stare in finale”, dicono in coro Casella e la Ferrari quasi singhiozzando. Enrico più realistico aggiunge: “poi però entrava la Tweddle, mica una qualunque, che giocava pure in casa”. Con i se e con i ma, lo sappiamo tutti…Restano i fatti. Restano i numeri. Due 14.900 (“Ma mi aspettavo almeno un 15.000” rincara il tecnico), in qualifica e in finale. Due terzi posti, manco un bronzo. L’antidoping che ti impedisce di abbracciare il tuo fidanzato, fuori ad aspettare per tre lunghe ore. Tante sono le lacrime versate che la pipì non vuole proprio uscire. E quindi giù bicchieri di acqua. Quei bicchieri che però sono davvero mezzi pieni. Nessuno potrà mai cancellare l’ottavo posto nell’All-around (“prima delle donne” come ci tiene a precisare lei), il settimo con la squadra e una medaglia ad honorem appuntata sul body. “Mi sono rimessa in gioco a quasi 22 anni – continua il caporal maggiore dell’Esercito Italiano – avevo un sogno nel cassetto, ti sbatti per raggiungerlo e poi arriva una che parte da tre decimi in meno e manda tutto in fumo. E non ho neppure visto tutta questa differenza dalla Ponor”. Lo sport è fatto anche di sconfitte ingiuste, pagine epiche scritte da personaggi che pur senza vincere hanno ricevuto l’applauso del pubblico pagante. E dato che siamo a Londra il pensiero va a Dorando Pietri, che su una medaglia olimpica mancata ha saputo costruire un mito. Ecco, vorremo chiudere con un augurio a Vanessa, qualunque siano le sue decisioni future. Quello di perpetuare la sua immagine di grande campionessa, dando esempio di sé in ogni circostanza, interprete olimpica a tutto tondo. Perché ci sono stati medagliati che non si ricorda nessuno e perdenti divenute leggende.