Finale al cardiopalma tra due titani dell’artistica maschile, separati dopo sei attrezzi da un decimo di punto. Kohei Uchimura, con il totale di 92.365, supera al fotofinish Oleg Vernjajev, che lo aveva preceduto in qualifica e per quasi l’intero arco della gara, e fa suo il titolo nell’all-around, come a Londra 2012. Si tratta della sua settima medaglia olimpica. La terza d’oro, di cui due prese in Brasile (la prima lunedì con la squadra).  Lo sport è bello perché è imprevedibile, proprio come la vita. E così dopo aver dominato in lungo e largo per due cicli olimpici – un’eternità ginnica – l’ultimo imperatore è costretto a sudare fino alla sbarra per avere la meglio sul giovane Oleg. Il giapponese, olimpionico in carica e sei volte iridato, contro il campione europeo a Montpellier 2015, quasi Davide contro Golia. Certo non è che l’ucraino fuori dal Vecchio Continente fosse uno sconosciuto, quarto a Glasgow e campione del mondo alle parallele a Nanning nel 2014. Ma è dallo scorso anno che il 23enne di Donetsk sembrava maturato, più bravo ad arrivare in fondo, come in Francia, agli European Games di Baku e alle Universiadi di Gwangju. Senza il concorso generale agli Europei di Berna, lo scorso maggio, si era accontentato del titolo al volteggio, ma già dal Test Event di aprile sembrava aver preso le misure della ROA, la Rio Olympic Arena. Mancava un tanto così alla definitiva consacrazione. Invece Vernjajev cade proprio sul traguardo e con un parziale alla sbarra di 14.800 (il 12°) si mangia la medaglia più pregiata. Non come avviene nelle fotografie sul podio, ma per davvero. Una beffa tremenda che sarebbe clamorosa se davanti non avesse avuto il più grande ginnasta di tutti i tempi. Prima di lui, solamente il connazionale Kato Sawao, il russo Viktor Ivanovič Čukarin e il nostro Alberto Braglia erano riusciti nel giro completo a bissare il gradino più alto del podio in due edizioni olimpiche consecutive. Eppure il 27enne di Kitakyūshū sembrava volercela mettere tutta per mancare la conferma. La caduta alla sbarra nel concorso di ammissione, la fatica al cavallo con maniglie (14.900) e sugli anelli (14.733), il mezzo disastro alla parallela pari (15.600), proprio sulla campanella del penultimo giro, sembravano il preludio di un’abdicazione annunciata. E invece il fenomeno si è messo in testa di catturare il Pokemon più raro che ci sia, con la calma e la precisione di chi gioca ad un videogame. Il ferro e la polvere di magnesia che si sollevava ogni volta che veniva impugnata erano reali, però, non virtuali. Al pari di questo Goldrake in carne ed ossa, che adesso può rilassarsi in attesa della finale al corpo libero del 14 agosto, nella quale, partendo dal terzo parziale, punterà al Triplete. Il bronzo, che con la battaglia per la testa della classifica sembrava quasi un posto in prima fila al cinema, finisce al collo di Max Whitlock – terzo anche a Londra sia a squadre che al cavallo, davanti all’azzurro Busnari - che con il punteggio complessivo di 90.641 si aggiudica la sfida tra gli umani con il russo Belyavskiy (90.498) e i due cinesi Lin (90.230) e Deng (90.130).