Luca Pancalli, presidente del Comitato paralimpico, fa un bilancio della spedizione azzurra a Rio de Janeiro ai microfoni di "Radio Anch'io Sport" su Radiouno."La mission è riuscire a cambiare la percezione della disabilità nel mondo attraverso le gesta sportive e il contagio credo ormai sia inevitabile. Quanto accaduto è veramente qualcosa di fenomenale, ma il percorso non è concluso, c’è tantissimo da fare. Le medaglie sono importanti, ma voglio pensare a tutti quei ragazzi disabili a cui manca la possibilità di fare sport e manca l'offerta sportiva. Il Paese non cresce solo con il Pil ma con la cultura di uomini e donne. Tutta la nostra famiglia paralimpica è legata insieme da un fil rouge, perché' – prosegue il numero uno del CIP - Tutti noi siamo legati da momenti drammatici, come un incidente o un trauma sportivo o una patologia, e questo fa capire che quando si scende in vasca o si va in pedana si sta vincendo per se stessi ma si capisce anche che quella vittoria serve anche a qualcun altro". Pancalli elegge a simbolo dei Giochi paralimpici, conclusi ieri con l'Italia nona con 39 medaglie complessive, "l'immagine dell'abbraccio Caironi-Contraffatto nella finale dei 100 metri piani amputati. Da un letto d'ospedale la Contraffatto guardava la Caironi a Londra e disse 'io voglio diventare come lei'. A Rio è arrivata terza. Il messaggio di Londra è arrivato in un letto d'ospedale. Per me è stata questa l'emozione più grande". E ancora: "Forse sto invecchiando pure io, ma mai avrei pensato di potermi commuovere tante volte - dice l’avv. Pancalli al quale è stato chiesto di candidarsi per il movimento internazionale paralimpico: "Mi onora come italiano, ma non è merito mio, è merito di tutta la squadra che ha lavorato", precisa, definendo dunque "immaginabile" il contemporaneo svolgimento di Giochi olimpici e paralimpici. "Si può sognare ma non è realizzabile adesso – spiega il vice presidente del Comitato Promotore di Roma2024 - Il movimento paralimpico trasmette valori che, confusi nel grande palcoscenico olimpico, passerebbero in secondo piano. Abbiamo bisogno invece che la gente li percepisca. Se vince l'oro un grande atleta olimpico chi parlerebbe dei nostri? Dobbiamo lavorare, ci sarà un momento in cui la cultura crescerà così tanto da consentire questo sogno".